Secondo livello
PRIGIONE DEGLI UOMINI:
La stanza appartiene al primitivo impianto trecentesco del castello. L’accesso originale avveniva attraverso una botola. Successivamente, in seguito alla ristrutturazione del 1484-1488, fu aperto un nuovo passaggio ricavato in rottura sulla parete della scala modificando l’andamento della volta.
TECA PRIGIONE:
All’interno della stanza voltata che originariamente costituiva la prigione del castello è stata collocata una teca che contiene reperti in ferro. Tra questi risultano particolarmente significativi quelli provenienti dallo scavo archeologico realizzato nel cortile, di età compresa tra il XII e il XIV secolo.
I frammenti delle culatte dei crogioli e le numerose scorie ferrose sono infatti la prova evidente dell’attività fusoria che si svolgeva nel castello.
Tra gli oggetti in ferro rinvenuti molteplici quelli riferibili alla funzione militare di questo sito, come le punte di verrettone, appartenenti a dardi da balestra, e una punta di freccia per arco; sono presenti inoltre alcuni elementi relativi ai finimenti da cavallo. La grande quantità di chiodi di varie forme e misure, uno scalpello e un succhiello, possono essere ricondotti ai lavori di manutenzione delle diverse strutture del castello. Interessanti sono anche una serratura completa di meccanismo e due chiavi, la più grande delle quali appartenente ad un portone.
MAGAZZINO O PRIGIONE DELLE DONNE:
In origine era la stanza che tramite una botola a pavimento permetteva l’accesso alla sottostante prigione. Successivamente, dopo i restauri del 1484-1488 venne utilizzata come magazzino e forse come prigione per le donne. La stanza risultava completamente voltata e dotata di finestra. L’accesso avveniva tramite una porta con gradini ricavati nello spessore della muratura, ancora oggi leggibili.
ATRIO (“sala”, “losa”):
Si tratta di uno spazio di disimpegno in origine completamente voltato secondo una tipologia costruttiva analoga a quella conservatasi nel “magazzino delle granaglie” (ora saletta proiezione audiovisivi). Doveva quindi trattarsi di un luogo poco luminoso e cupo che serviva come deposito (vi erano madie e cassapanche per la farina e stanghe per appendere la carne) e come accesso ai piani superiori e a stanze di servizio: a nord (nella parte completamente crollata del castello) il magazzino della carne, a est locali adibiti a prigione e a magazzino, a sud una camera per i servi.
MAGAZZINO (“caneva”) DELLE GRANAGLIE:
La stanza era utilizzata come deposito delle granaglie ed è l’unica parte del castello dove le volte della ricostruzione quattrocentesca si sono conservate integralmente nonostante i crolli e l’enorme accumulo di macerie delle strutture soprastanti. All’interno sono visibili gli affioramenti di roccia del masso su cui sorge il castello. E’ interessante notare la tipologia costruttiva adottata dai Maestri Comacini che ancora risente di una impostazione strutturale tardo medievale con volte a botte e inserimento di lunette e vele in ragione delle aperture e dei disimpegni. La pavimentazione è in battuto di calce “somassa” ricomposta durante i restauri impastando il materiale originale.
“SEGRETA”:
La “segreta” risultava voltata e in gran parte scavata nella roccia, inoltre era priva dell’attuale ingresso; originariamente doveva essere dotata di una botola che la poneva in diretta comunicazione con la soprastante camera padronale. E’ forse la stanza di maggior fascino che probabilmente custodiva le antiche pergamene e gli scritti dei vari Signori e Capitani che hanno abitato il castello. Non compare mai nei documenti ed inventari che fanno riferimento ad Andraz se non nella descrizione successiva ai lavori del Capitano Mayrhofer ideatore dell’attuale accesso provvisto di doppia porta di sicurezza e di pavimento ed intonaci in calce rasata. Nella parete perimetrale esterna, a sud, è visibile un particolare foro forse di misurazione astronomica. Il castello tra il 1457 e il 1458 (e poi ancora nel 1460) fu abitato da Nicolò Cusano, Cardinale Vescovo di Bressanone, insigne umanista e filosofo, studioso di matematica ed astronomia, considerato una delle massime figure del rinascimento. Durante la sua residenza ad Andraz il Cusano ebbe modo di scrivere “De casearia circoli quadratura”, “De possest” e di completare “De beryllo”, probabilmente lavorando all’interno di questa stanza.
TECA “SEGRETA”:
All’interno della stanza voltata originariamente utilizzata come “segreta” è stata collocata una teca che contiene i reperti messi in luce nel corso degli scavi archeologici e che illustrano la vita all’interno del castello. Tali reperti confermano la funzione militare e amministrativa di questo avamposto d’alta montagna. Il rinvenimento di oggetti d’uso comune consente di delineare alcuni aspetti della vita quotidiana degli abitanti: dadi e pedine in osso erano sin dall’antichità un passatempo consueto tra i soldati che dovevano occuparsi anche della cura del loro abbigliamento, come testimoniano il rinvenimento di bottoni, ditali e spilli. Oggetti preziosi come il sigillo in bronzo e la fascetta in bronzo con foglia d’oro appartenevano probabilmente al capitano.
L’analisi delle ceramiche e dei vetri rinvenuti evidenzia come al castello giungessero merci prodotte sia in area alpino-germanica che veneta, attestando così l’interazione di due realtà geo-politiche tra loro contrastanti e diverse per cultura, confermata anche dalla scoperta di due monete in bronzo.
La stanza appartiene al primitivo impianto trecentesco del castello. L’accesso originale avveniva attraverso una botola. Successivamente, in seguito alla ristrutturazione del 1484-1488, fu aperto un nuovo passaggio ricavato in rottura sulla parete della scala modificando l’andamento della volta.
TECA PRIGIONE:
All’interno della stanza voltata che originariamente costituiva la prigione del castello è stata collocata una teca che contiene reperti in ferro. Tra questi risultano particolarmente significativi quelli provenienti dallo scavo archeologico realizzato nel cortile, di età compresa tra il XII e il XIV secolo.
I frammenti delle culatte dei crogioli e le numerose scorie ferrose sono infatti la prova evidente dell’attività fusoria che si svolgeva nel castello.
Tra gli oggetti in ferro rinvenuti molteplici quelli riferibili alla funzione militare di questo sito, come le punte di verrettone, appartenenti a dardi da balestra, e una punta di freccia per arco; sono presenti inoltre alcuni elementi relativi ai finimenti da cavallo. La grande quantità di chiodi di varie forme e misure, uno scalpello e un succhiello, possono essere ricondotti ai lavori di manutenzione delle diverse strutture del castello. Interessanti sono anche una serratura completa di meccanismo e due chiavi, la più grande delle quali appartenente ad un portone.
MAGAZZINO O PRIGIONE DELLE DONNE:
In origine era la stanza che tramite una botola a pavimento permetteva l’accesso alla sottostante prigione. Successivamente, dopo i restauri del 1484-1488 venne utilizzata come magazzino e forse come prigione per le donne. La stanza risultava completamente voltata e dotata di finestra. L’accesso avveniva tramite una porta con gradini ricavati nello spessore della muratura, ancora oggi leggibili.
ATRIO (“sala”, “losa”):
Si tratta di uno spazio di disimpegno in origine completamente voltato secondo una tipologia costruttiva analoga a quella conservatasi nel “magazzino delle granaglie” (ora saletta proiezione audiovisivi). Doveva quindi trattarsi di un luogo poco luminoso e cupo che serviva come deposito (vi erano madie e cassapanche per la farina e stanghe per appendere la carne) e come accesso ai piani superiori e a stanze di servizio: a nord (nella parte completamente crollata del castello) il magazzino della carne, a est locali adibiti a prigione e a magazzino, a sud una camera per i servi.
MAGAZZINO (“caneva”) DELLE GRANAGLIE:
La stanza era utilizzata come deposito delle granaglie ed è l’unica parte del castello dove le volte della ricostruzione quattrocentesca si sono conservate integralmente nonostante i crolli e l’enorme accumulo di macerie delle strutture soprastanti. All’interno sono visibili gli affioramenti di roccia del masso su cui sorge il castello. E’ interessante notare la tipologia costruttiva adottata dai Maestri Comacini che ancora risente di una impostazione strutturale tardo medievale con volte a botte e inserimento di lunette e vele in ragione delle aperture e dei disimpegni. La pavimentazione è in battuto di calce “somassa” ricomposta durante i restauri impastando il materiale originale.
“SEGRETA”:
La “segreta” risultava voltata e in gran parte scavata nella roccia, inoltre era priva dell’attuale ingresso; originariamente doveva essere dotata di una botola che la poneva in diretta comunicazione con la soprastante camera padronale. E’ forse la stanza di maggior fascino che probabilmente custodiva le antiche pergamene e gli scritti dei vari Signori e Capitani che hanno abitato il castello. Non compare mai nei documenti ed inventari che fanno riferimento ad Andraz se non nella descrizione successiva ai lavori del Capitano Mayrhofer ideatore dell’attuale accesso provvisto di doppia porta di sicurezza e di pavimento ed intonaci in calce rasata. Nella parete perimetrale esterna, a sud, è visibile un particolare foro forse di misurazione astronomica. Il castello tra il 1457 e il 1458 (e poi ancora nel 1460) fu abitato da Nicolò Cusano, Cardinale Vescovo di Bressanone, insigne umanista e filosofo, studioso di matematica ed astronomia, considerato una delle massime figure del rinascimento. Durante la sua residenza ad Andraz il Cusano ebbe modo di scrivere “De casearia circoli quadratura”, “De possest” e di completare “De beryllo”, probabilmente lavorando all’interno di questa stanza.
TECA “SEGRETA”:
All’interno della stanza voltata originariamente utilizzata come “segreta” è stata collocata una teca che contiene i reperti messi in luce nel corso degli scavi archeologici e che illustrano la vita all’interno del castello. Tali reperti confermano la funzione militare e amministrativa di questo avamposto d’alta montagna. Il rinvenimento di oggetti d’uso comune consente di delineare alcuni aspetti della vita quotidiana degli abitanti: dadi e pedine in osso erano sin dall’antichità un passatempo consueto tra i soldati che dovevano occuparsi anche della cura del loro abbigliamento, come testimoniano il rinvenimento di bottoni, ditali e spilli. Oggetti preziosi come il sigillo in bronzo e la fascetta in bronzo con foglia d’oro appartenevano probabilmente al capitano.
L’analisi delle ceramiche e dei vetri rinvenuti evidenzia come al castello giungessero merci prodotte sia in area alpino-germanica che veneta, attestando così l’interazione di due realtà geo-politiche tra loro contrastanti e diverse per cultura, confermata anche dalla scoperta di due monete in bronzo.